25 aprile 2015. Il discorso del sindaco Paola Natalicchio per il 70° anniversario della Resistenza

25aprile2015

Cara Molfetta,

portare addosso la fascia tricolore oggi è per me un privilegio forte ed emozionante. Su questa fascia ci sono i colori del nostro Paese e oggi noi celebriamo i 70 anni dalla sua Liberazione. 70 anni dalla Resistenza, dalla vittoria dell’antifascismo coraggioso dei partigiani, dall’uscita dalla vergogna di un ventennio di arretratezza, barbarie, leggi ingiuste e liberticide, rastrellamenti, deportazioni, alleanze scabrose con la Germania nazista.

Poi, finalmente, lo sciopero generale, la rivolta e infine quel percorso che portò dal Comitato di Liberazione Nazionale al referendum del ’46, fino all’approvazione della nostra Carta Costituzionale e alla fondazione della nostra Repubblica democratica e antifascista.

Antifascismo. L’ho detto un anno fa, qui, davanti alla città. Lo ripeto, oggi, se possibile con maggiore forza di prima: in questo Paese l’antifascismo è un valore obbligatorio, fondativo di ogni comunità. Ci sono tre famiglie politiche che hanno fatto l’Italia libera e democratica nella quale noi oggi viviamo: quella comunista, quella socialista liberale e quella cattolico-democratica. Senza dimenticare l’apporto libertario degli anarchici.

Queste famiglie politiche, durante la Resistenza, combatterono insieme, l’una staffetta dell’altra, per restituire all’Italia la dignità perduta con Benito Mussolini, che dalla marcia su Roma fino a piazzale Loreto ha inflitto al Paese di Dante e Michelangelo, di Ariosto e Manzoni, di Foscolo e Leopardi una diffusa ignoranza basata su una cultura becera e violenta fatta di genuflessione costante, di perdita della dignità, di manipolazione genetica valoriale, di una profusione di leggi costitutive di una illegalità diffusa.

Leggi fasciste e fascistissime, che trasformarono l’ordinamento giuridico dell’Italia in un regime, in uno Stato nazionalista, imperialista, promotore di un colonialismo muscolare d’accatto, guerrafondaio. Un’Italia irriconoscibile e di cui vergognarsi. Quella dell’omicidio di Giacomo Matteotti. Delle leggi sulla stampa in cui lo Stato sceglieva i direttori di giornale. Dell’abolizione del diritto di sciopero in cui i contratti collettivi potevano essere firmati solo dai sindacati fedeli al regime. Della legge elettorale con la lista unica e i candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo. Della Camera dei fasci e delle corporazioni. Del controllo di polizia sulle associazioni. Del confino di polizia per chi la pensava diversamente. L’Italia dell’OVRA, della vergogna incancellabile del Manifesto della Razza e delle leggi razziali, dei rastrellamenti nei ghetti ebraici verso i campi di sterminio, della scandalosa alleanza tra Mussolini e Hitler.

Di questa Italia, fascista e fascistissima, 70 anni dopo, dobbiamo avere il coraggio di vergognarci.

La nostra Italia è un’altra. È quella iniziata esattamente settant’anni fa. Quella in cui “fischia il vento e urla la bufera scarpe rotte eppur dobbiamo andar”. Quella di Gaetano Salvemini, il più illustre dei nostri concittadini, ispiratore, a Firenze, del movimenti Giustizia e Libertà, maestro dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, morti su ordine dei vertici fascisti. Quella di Carlo Muscetta e Tommaso Fiore, tra gli anni Trenta e Quaranta professori di libertà nel nostro Liceo Classico, a Corso Umberto. Muscetta fu violentato con l’olio di ricino per la sua attività di proselitismo liberale tra i ragazzi, Tommaso Fiore, che per anni abitò a Piazza Paradiso e che negli anni terribili della guerra e dei tumulti perse il figlio adolscente Graziano, fu portato al confino di Ventotene, con i suoi studenti – Saverio Tattoli, Giovanni Minervini e molti altri – che lo salutavano dalla banchina della stazione di Molfetta mentre aveva sul treno già le catene ai polsi.

La nostra Italia è quella di Manfredi Azzarita, grande animatore della resistenza romana, uno dei 355 morti ammazzati e trucidati delle Fosse Ardeatine. Il nostro Presidente della Repubblica Mattarella ha svolto alle Fosse Ardeatine la sua prima visita istituzionale, qualche settimana fa. Con questa fascia che porto addosso, un anno fa, le abbiamo visitate anche noi con il Presidente del Consiglio comunale e con un pulmann di 50 studenti molfettesi, nel primo viaggio della memoria organizzato dal comune. I ragazzi della città, che quest’anno abbiamo portato nel campo di Trieste, la Risiera di San Sabba.

La nostra Italia è quella degli altri molfettesi partigiani che hanno contribuito alla liberazione: Minguccio il barbiere, detto Figaro, attivo nella brigata Garibaldi, nell’astigiano. E molti altri, come Pasquale Petroli, che partecipò alle giornate di Parma, o Mauro Manente, attivo nella guerra di liberazione padovana. O partigiani da riscoprire come Tiberio Pansini. giovane partigiano delle Divisioni Garibaldine Lombarde, assassinato il 9 Aprile del 1945, figlio di Giovanni Pansini, nato a Molfetta e condannato nel 1931 dal Tribunale Speciale fascista a 5 anni di confino, scontati prima a Ponza e poi a Ventotene. E poi partigiano anche lui.

La nostra Italia e la nostra Molfetta sta dalla parte delle vittime delle leggi razziali e del manifesto della razza, come Piero Terracina, a cui abbiamo voluto conferire la cittadinanza onoraria, uno dei milioni, milioni di ebrei deportati nei campi di concentramento, esattamente ad Auschwitz Birkenau, tornato e sopravvissuto e instancabile testimone di memoria. Per questo la nostra Italia e la nostra Molfetta ripudia ogni apologia di personaggi come Giorgio Almirante, a cui qualcuno – non io – ha intitolato una strada della città, forse dimenticando che quel manifesto della Razza che ha portato alla deportazione di Piero Terracina, della sua famiglia e dei tanti ebrei italiani che sono morti nelle camere a gas Giorgio Almirante lo ha firmato senza mai pentirsene. Giorgio Almirante che oggi campeggia ancora sui dibattiti su Facebook come paladino e grande uomo, e invece – ricordiamolo oggi, con forza – fu torturatore e fucilatore di partigiani.

I partigiani che oggi noi festeggiamo. I partigiani che noi oggi difendiamo dal revisionismo pericoloso e qualunquista e da questa insopportabile cappa di neutralità anestetica che sta peggiorando la qualità democratica di questo Paese. I partigiani di cui scandiamo i nomi perché nessuno dimentichi quanto è costata la nostra libertà di essere quello che siamo. I partigiani che non sappiamo più essere e che dobbiamo sempre più essere. Nonostante rigurgiti di neofascismo con grande evidenza tornino, ogni giorno, in ogni angolo d’Italia.

Il neofascismo di chi dice che dobbiamo sgomberare i campi rom con le ruspe e non si vergogna. Il neofascismo di chi dice che dobbiamo sparare sui barconi e sui gommoni. E non si vergogna.

Partigiani, allora. Anche noi. Anche se qualcuno dice che non è più tempo. Partigiani, comunque. Capaci di stare da una parte e quindi non dall’altra. Dalla parte dei migranti che cercano un destino diverso e non di chi vuole militarizzare le frontiere in nome di una concetto conservatore di cittadinanza. Dalla parte dei professori precari che portano avanti le nostre scuole e insegnano il futuro ai nostri figli e non di chi li umilia con l’ennesima riforma sbagliata. Dalla parte di chi lavora e chiede diritti e dalla parte di chi perde il lavoro e chiede protezione sociale e non di chi smonta un secolo di conquiste, con il job act. Dalla parte degli anziani che chiedono servizi o dei malati che chiedono ospedali funzionati e cure accessibili per tutti e non di chi taglia altri fondi pubblici alla nostra sanità e la privatizza senza ritegno. Ma anche dalla parte dei giovani – erano giovani, a volte giovanissimi i partigiani di montagna. I giovani che studiano, cercano, provano, premono ma non entrano, e allora partono e vanno da un’altra parte. Dalla parte dei giovani che in un Paese sano hanno diritto di precedenza e dalla parte di chi fa largo a questi giovani, ma veramente, e non delle generazioni che in ogni campo, in ogni settore, dappertutto non sanno proprio farsi da un lato.

Allora auguri Molfetta, dal tuo sindaco di parte.
Buon 25 aprile.
Viva l’antifascismo e viva questa signora di 70 anni che si chiama Italia.

Paola Natalicchio Sindaco

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