Il fascino di Molfetta senz’altro è il mare. É la bella piazza liquida- il porto- che ha come sfondo le bianche pietre del duomo duecentesco con le alte torri.
Il mare ha portato in questa nostra città il senso dell’altrove, della mescolanza continua e secolare di genti e culture, di tecniche e merci. Gli uomini partivano, rimanevano lontani e tornavano con idee e mentalità nuove, le donne restavano e governavano casa e beni, acquisendo forza e indipendenza. Generazioni di donne autonome a Molfetta.
Ecco la città operosa in cui i “figli”, che lavorano e studiano, producono accoglienza, confronti anche aspri, libertà di pensiero.
La attraversano sentieri di arte e storia: il Centro Antico con il suo duomo medievale, i ricoveri dei pellegrini in partenza per la Terrasanta, le belle chiese barocche, il sito neolitico del Pulo.
I quartieri sul porto, fatti di stretti vicoli, rivelano una piccola casbah; la città ottocentesca si apre al dialogo con i suoi caffè, i negozi, l’andirivieni: è il luogo della sacra passeggiata meridionale.
Si mescolano suoni profumi e colori in questa città: abbiamo il verde argenteo delle distese di ulivi insieme ai profumi dell’olio nuovo nei frantoi; abbiamo l’oro, il rosso cupo, il nero delle statue delle processioni pasquali con i suoni solenni delle marce funebri in un rito che non è mai vetrina per turisti ma un autentico percorso religioso. Non c’è retorica in questa terra di gente forte e oppositiva da Gaetano Salvemini a Riccardo Muti, persino le canzoni di Caparezza sono asciutte e senza indulgenza, testimoniano amore per la città ma anche capacità di leggerne le difficoltà.
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