Sul palchetto, posizionato a due passi dalla Croce e dall’Ulivo che, da qualche giorno, impreziosiscono l’aiuola spartitraffico di piazza Garibaldi, il sindaco, Tommaso Minervini, il vescovo della Diocesi, monsignor Domenico Cornacchia, l’arcivescovo metropolita, monsignor Francesco Cacucci. Tutto intorno il popolo di don Tonino che neppure la pioggia è riuscito a fermare. Tutti insieme per assistere alla benedizione di un simbolo che, a perenne memoria, sarà lì a ricordo del Vescovo scomodo e del Papa che fece sosta nella sua città. Quella croce e quell’ulivo erano sul palco dal quale Papa Francesco il 20 aprile del 2018 celebrò, a Molfetta, la Santa messa.
«Ora, con la benedizione di oggi, devono tornare in primo piano i molti volti autentici ad incrociare il messaggio di don Tonino ben piantato nel centro della nostra città, dopo le maschere rumorose. Così – dice il sindaco Minervini – quando noi non ci saremo più, e le nostri opinioni ed i cavilli burocratici non li ricorderà più nessuno per i laici resterà la tensione etico morale, per i credenti la tensione evangelica. Infatti questi segni vanno oltre di noi e i loro valori cammineranno su altre gambe ed in altri cuori. Io devo davvero ringraziare chi – continua – ha polemizzato in questi giorni perché così si è potuto vedere chiaramente la differenza tra i poteri della burocrazia e della polemica ed il grande valore evocativo del potere dei segni, come auspicava lo stesso don Tonino.
Sì, il potere dei segni. I segni di don Tonino, quelli di mettersi in corpo l’occhio del povero, quello di costruire la pace, quello del servizio, la chiesa, le istituzioni col grembiule, quello dell’accoglienza, quello della speranza, di incamminarsi sui crinali dell’audacia, alla convivialità delle differenze a quello dell’eleganza che è il rispetto dell’altro, quello della bellezza; quando diceva che bello è una opinione e infatti non esiste nelle lingue antiche dei padri né in greco che viene dal significato di valore, né in latino che deriva da bonus né in aramaico. Bello è sempre associato a ciò che è buono, di valore».
E poi. «Nessuno sia perplesso verso questi segni. Nessuno deve avere paura di questi segni. I farisei – aggiunge – erano una setta che ritenevano di essere superiori agli altri, imponevano leggi per non contaminarsi con gli altri e preservare ad ogni costo le loro usanze. Poi la storia del vangelo la conoscete e don Tonino ci ha insegnato la contaminazione e la convivialità delle differenze».
Molfetta, 8 aprile 2019
L’Ufficio stampa